Patologie

ANEURISMA AORTICO

L’aorta è la più grande arteria del corpo ed è il vaso che porta sangue ricco di ossigeno dal cuore a tutte le parti del corpo. La malattia più frequente dell’aorta è l’aneurisma, che significa “dilatazione di un’area debole delle pareti aortiche”, determinato dall’elevata pressione arteriosa all’interno del vaso stesso. Questa dilatazione tende sicuramente a progredire nel tempo e di solito si sviluppa lentamente nel corso di anni.

Gli aneurismi dell’aorta sono suddivisi in base alla loro localizzazione: aneurismi dell’aorta toracica (aorta ascendente, arco aortico, aorta toracica discendente) e aneurismi dell’aorta addominale.

La causa più frequente di aneurisma aortico è l’aterosclerosi, che indebolisce le pareti dell’aorta. Altre malattie genetiche, infettive o infiammatorie sono cause meno frequenti. Altri fattori di rischio sono l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia e il fumo.

 

Quando le dimensioni dell’aneurisma aumentano, iniziano a manifestarsi sintomi molto aspecifici: dolore alla mandibola, dolore al collo, dolore in regione cervicale oppure a livello toracico e retrosternale, tosse, raucedine e difficoltà nella respirazione o nella deglutizione, a causa della compressione che l’aneurisma esercita su organi o strutture circostanti.

La decisione riguardo al se e quando operare un aneurisma aortico viene valutata considerando le dimensioni (diametri) dell’aneurisma stesso, alla sua velocità di progressione nel tempo, e ad altri indicatori di aumentato rischio di rottura.

Gran parte degli aneurismi aortici sono molto insidiosi perché completamente asintomatici, non danno cioè alcun segno di sé fino a quando non si complicano. La loro diagnosi è quindi molto spesso casuale, durante accertamenti diagnostici fatti per altre patologie (es. RX, TAC torace o Ecografia di altri organi). Un aneurisma aortico è potenzialmente pericoloso poiché può rompersi improvvisamente e causare una grave emorragia e portare alla morte. In Italia ogni anno sono oltre 6.000 i decessi per rottura di aneurisma aortico; questo è un segnale di quanto la diagnosi precoce e la prevenzione siano fondamentali per combattere questa patologia.

Quando le dimensioni dell’aneurisma aumentano, iniziano a manifestarsi sintomi molto aspecifici: dolore alla mandibola, dolore al collo, dolore in regione cervicale oppure a livello toracico e retrosternale, tosse, raucedine e difficoltà nella respirazione o nella deglutizione, a causa della compressione che l’aneurisma esercita su organi o strutture circostanti.

La decisione riguardo al se e quando operare un aneurisma aortico viene valutata considerando le dimensioni (diametri) dell’aneurisma stesso, alla sua velocità di progressione nel tempo, e ad altri indicatori di aumentato rischio di rottura.

È decisamente preferibile trattare un aneurisma dell’aorta toracica prima che si rompa. Gli interventi in emergenza su aneurismi rotti hanno una mortalità che va dal 30% al 50%.

Per questo, quando l’aneurisma aortico raggiunge le dimensioni di 50-55 mm o più, i medici raccomandano l’intervento chirurgico, proprio per prevenire ed evitare la rottura. Nei soggetti con Sindrome di Marfan, la rottura è più probabile. L’intervento chirurgico è raccomandabile anche per aneurismi più piccoli.

La scelta della tecnica chirurgica per l’aneurisma aortico dipende da molti fattori, come l’età, la salute generale del soggetto, l’anatomia dell’aorta e dell’aneurisma stesso.

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INSUFFICIENZA MITRALICA

L’insufficienza mitralica (anche detta rigurgito mitralico) consiste nella chiusura incompleta della valvola mitrale durante la fase di contrazione ventricolare (sistole). Questo significa che quando il ventricolo si contrae, una quota di sangue, anziché imboccare correttamente l’aorta, torna indietro e risale nell’atrio sinistro soprastante. Il risultato di tale condizione è che il sangue non viene efficientemente distribuito al resto del corpo, con una conseguente sensazione di stanchezza e affanno. Questo rigurgito, se lasciato senza trattamento, può portare allo scompenso cardiaco.

L’insufficienza mitralica può essere causata da problemi intrinseci alla valvola o da malattie del ventricolo sinistro. Si parla di insufficienza mitralica primaria o degenerativa se la patologia dipende dalla degenerazione del tessuto della valvola mitrale stessa; di insufficienza mitralica secondaria o funzionale se invece è conseguente alla dilatazione del ventricolo sinistro. L’insufficienza mitralica si classifica in lieve moderata e severa.

Le possibili cause includono:

  • Il prolasso mitralico, un difetto congenito della forma e della funzione dei lembi valvolari che impediscono la corretta chiusura della valvola.
  • Un danno delle corde valvolari, dovuto all’usura nel tempo o a trauma toracico. Nel tempo le corde tendinee, che hanno la funzione di ancorare i lembi mitralici al cuore, possono allungarsi o lacerarsi, causando un’insufficienza significativa della valvola mitrale, che non si chiude più come dovrebbe.
  • Endocardite batterica: Infezione di uno strato del tessuto cardiaco che può coinvolgere anche le valvole.
  • Malattia reumatica: complicazione d’infezione alla gola, causata dallo Streptococco, può determinare un danno significativo alla valvola mitrale che porterà all’insufficienza mitralica più o meno precocemente.
  • Infarto miocardico acuto, che può danneggiare l’area del muscolo cardiaco che supporta la valvola provocando un’alterazione della funzione della valvola mitrale stessa. Se il danno è esteso, l’infarto causerà comparsa d’insufficienza mitralica severa in modo acuto.
  • Cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica (anormalità del muscolo cardiaco), condizioni che causano un graduale allargamento del ventricolo sinistro. Questo “stiramento” ha un effetto anche sui tessuti circostanti la valvola mitrale, causando la comparsa di insufficienza mitralica.
  • La radioterapia del torace, usata come trattamento antitumorale.
  • La fibrillazione atriale, una non rara aritmia cardiaca che può essere causa o effetto dell’insufficienza mitralica.

L’insufficienza mitralica è in molti casi lieve e progredisce lentamente. I sintomi potrebbero non manifestarsi per anni, lasciando il paziente del tutto ignaro della sua condizione, mentre la malattia continua invece a progredire. La comparsa dei sintomi dipende infatti dalla severità della malattia e da quanto velocemente questa condizione si sviluppa. Essi includono:

  • Soffio cardiaco
  • Respiro corto (dispnea) e fatica, specialmente a seguito di attività fisica
  • Palpitazioni cardiache
  • Gonfiore di piedi e caviglie (edema)

Il trattamento dell’insufficienza mitralica dipende dalla severità del rigurgito, dalla presenza di sintomi, dal peggioramento del quadro clinico generale. In caso di insufficienza mitralica severa può rendersi necessaria la chirurgia per riparare o sostituire la valvola. Tuttavia, anche i pazienti senza sintomi dovrebbero essere sottoposti a valutazione cardiologica per definire se un intervento precoce possa ottenere un beneficio. Se non viene trattata, l’insufficienza mitralica evolve in senso sfavorevole sia in termini di aggravamento dei sintomi, sia in termini di peggioramento progressivo delle condizioni del cuore e dei polmoni. L’ideale sarebbe intervenire prima che la funzione del cuore si compromessa irreversibilmente. Infatti, in caso d’intervento tardivo, la funzione del cuore spesso non recupera; al contrario un intervento eseguito precocemente, comporta un rischio operatorio basso e consente al paziente una qualità e un’aspettativa di vita non diversa da quella di una popolazione sana.

L’obbiettivo del trattamento chirurgico è quello di migliorare il funzionamento del cuore, ridurre i sintomi e/o evitare possibili future complicanze.

  • Nelle fasi precoci della malattia, specialmente nei pazienti con insufficienza lieve, sono raccomandati il rispetto di uno stile di vita salutare e un controllo clinico periodico. Talvolta viene indicata una appropriata terapia medica (farmaci diuretici, antitrombotici, antiipertensivi) finalizzata a trattare i sintomi, sebbene i farmaci non possano curare il vizio valvolare.
  • Quando l’insufficienza mitralica è o diventa severa, è sempre consigliabile l’intervento chirurgico. Tale indicazione è appropriata anche in assenza di sintomi quando è possibile prevenire l’evoluzione sfavorevole della malattia in termini di incidenza di possibili complicanze e aumento della probabilità di sopravvivenza, e quando vi è necessità di intervento cardiochirurgico per una patologia cardiaca concomitante.
  • In caso di insufficienza mitralica isolata da malattia degenerativa (insufficienza primaria) è solitamente fattibile e raccomandato l’intervento di riparazione con la conservazione della valvola nativa.

L’intervento può essere di:

  • Riparazione: ll chirurgo può ripristinare un corretto funzionamento valvolare (abolizione del rigurgito) ricostruendo i lembi della valvola (rimozione di tessuto in eccesso, ampliamento di lembi retratti, ricongiunzione di elementi staccati), sostituendo o ridimensionando o aggiungendo corde tendinee, rinforzando l’anello (annulus) che circonda la valvola impiantando un anello artificiale (annuloplastica).
  • Sostituzione: Nel caso in cui la riparazione non fosse possibile o non garantisse un risultato ottimale e duraturo (spesso nell’insufficienza mitralica secondaria) viene indicata la sostituzione valvolare con la rimozione parziale o totale della valvola nativa e il successivo impianto di una protesi che può essere:
    • meccanica, robusta e duratura, a tal punto da poter essere ritenuta una soluzione definitiva. I materiali metallici di cui è composta, impongono al paziente di seguire una terapia anticoagulante per tutta la vita, al prevenire la formazione di coaguli (embolie).
    • biologica, composta da materiale di origine animale. Questa caratteristica, da un lato non richiede che il paziente segua una terapia anticoagulante, ma dall’altro, espone la protesi ad usura con la possibile necessità di un re intervento negli anni.

I vantaggi della riparazione rispetto alla sostituzione includono il miglioramento della sopravvivenza, la minore mortalità peri operatoria e la migliore preservazione della funzione, come dimostrano molti studi scientifici. L’intervento di riparazione della valvola mitralica è eseguibile in più del 90% dei pazienti riferiti per intervento chirurgico, ma trattandosi di un’operazione tecnicamente molto più complessa della sostituzione, il successo dell’intervento può variare in base al grado di riparabilità della valvola e all’esperienza chirurgica. Per questa ragione, è di fondamentale importanza cercare un centro d’eccellenza sia sulla valvola mitralica che sulla chirurgia mininvasiva. Nei centri d’eccellenza e in mani esperte, la durata di un intervento di riparazione può durare in media e a grandi linee dalle tre alle quattro ore, e i tempi di ripresa dopo riparazione mininvasiva sono molto rapidi.

Gli approcci chirurgici che possono essere usati sono differenti:

  • l’intervento tradizionale è quello che viene eseguito con la sternotomia totale, mentre gli approcci cosiddetti mini-invasivi sono:
  • mini invasivo con sternotomia parziale: è una tecnica usata poco comunemente che prevede incisioni cutanee più corte e consente di lasciare intatta una parte dello sterno.
  • mini invasivo con minitoracotomia anteriore destra: l’accesso avviene attraverso il terzo o il quarto spazio intercostale, con un’incisione cutanea di 4-5 cm circa, senza danneggiare alcuna struttura ossea (sterno e coste). La minitoracotomia, in confronto alla sternotomia totale, ha dimostrato migliori risultati clinici, in particolar modo sulla riduzione del sanguinamento post-operatorio, sulla riduzione dei tempi di degenza in terapia intensiva e di degenza ospedaliera globale.

In alcuni centri ad elevata specialità gli interventi mitralici vengono eseguiti con la tecnica della chirurgia robotica. Sono in fase di ricerca avanzata tecniche riparative e di impianto di protesi valvolari senza la circolazione extracorporea, realizzate con metodiche transcatetere. Nella pratica clinica è attualmente disponibile, per i pazienti che hanno un rischio chirurgico eccessivamente alto, la tecnica MitraClip, una procedura trans-catetere (attraverso la vena femorale) e percutanea (senza apertura del torace) che consente di ridurre il rigurgito mitralico mediante il posizionamento di una clip che riduce l’apertura della valvola.

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INSUFFICIENZA TRICUSPIDALICA

L’insufficienza tricuspidalica (o rigurgito tricuspidale) è una condizione patologica in cui la valvola tricuspide, situata tra l’atrio destro e il ventricolo destro del cuore, non si chiude completamente, consentendo un reflusso del sangue dal ventricolo all’atrio destro del cuore, durante la fase di contrazione del cuore (sistole).

L’insufficienza tricuspidalica primaria è piuttosto rara. E’ conseguenza di problemi intrinseci alla valvola, causati da malattie congenite, endocardite infettiva, febbre reumatica, traumi toracici, radioterapia toracica, lesioni valvolari da procedure diagnostico-terapeutiche invasive. Nella maggior parte dei casi riscontrati in età adulta, si tratta invece di insufficienza tricuspidalica secondaria o funzionale, cioè una conseguenza di altre patologie valvolari o del muscolo cardiaco riconducibili a scompenso cardiaco, infarto miocardico, ipertensione polmonare, ipertrofia del ventricolo sinistro, con ripercussioni sul circolo polmonare e sul ventricolo destro (valvulopatie mitraliche e aortiche). L’insufficienza tricuspidalica può essere responsabile di scompenso cardiaco e fibrillazione atriale

Contenuto della fisarmonica

L’insufficienza della valvola tricuspide è solitamente asintomatica, ma alcuni pazienti avvertono pulsazioni al collo dovute alle elevate pressioni delle vene giugulari. I sintomi di insufficienza tricuspidalica severa comprendono affaticamento, dispnea, gonfiore addominale, ingrossamento del fegato, difficoltà digestive, fibrillazione atriale con possibili trombosi ed embolie.

Il trattamento dell’insufficienza tricuspidalica dipende dalla severità del rigurgito, dalla presenza di sintomi, dal peggioramento del quadro clinico generale e dalla causa della malattia.

Quando l’insufficienza è isolata e di grado lieve o moderato, la malattia può decorrere lentamente e senza causare problemi. Di solito viene diagnosticata incidentalmente con un’ecografia eseguita per altre patologie. In questa fase, sono raccomandati il rispetto di uno stile di vita salutare e un controllo clinico periodico. La terapia medica può comprendere: diuretici, farmaci antiscompenso, antiaritmici e antitrombotici.

I pazienti con insufficienza tricuspidalica severa devono sottoporsi ad intervento chirurgico non appena compaiono i sintomi nonostante il trattamento medico, o quando vi è moderato e progressivo ingrandimento o disfunzione del ventricolo destro.

L’intervento chirurgico può essere:

  • Di riparazione, in cui viene mantenuta la valvola nativa, e dove differenti tecniche di riparazione possono venire utilizzate singolarmente o associate fra di loro per ricostruire la valvola e renderla continente:
    • Anuloplastica, dove l’anulus della valvola tricuspide viene rinforzato con un anello protesico, che restringe e blocca la futura dilatazione dell’anulus;
    • Riduzione delle dimensioni circonferenziali dell’anulus stesso. Questa tecnica è indicata se l’insufficienza tricuspidale è secondaria alla dilatazione dell’anulus.
    • Riparazione o ricostruzione dei lembi della valvola, con la conservazione della valvola nativa.
  • Di sostituzione della valvola tricuspide con una protesi biologica, nel caso in cui la riparazione non fosse possibile o non garantisse un risultato ottimale e duraturo. Le protesi biologiche non richiedono terapia anticoagulante, e quando utilizzate nel cuore destro, diversamente dal sinistro, hanno una durata superiore ai 10 anni.

Quando possibile è preferibile riparare una valvola anziché sostituirla, perché la riparazione è associata a un miglior mantenimento della funzione cardiaca, miglior sopravvivenza e minor rischio di endocardite.

Anche per l’insufficienza tricuspidalica la chirurgia mini-invasiva gioca un ruolo importante, e viene effettuata sia nel trattamento dell’insufficienza isolata che associata alla chirurgia della valvola mitrale. L’approccio mini-invasivo ha dimostrato migliori risultati clinici, in particolar modo sulla riduzione del sanguinamento post-operatorio, sulla riduzione dei tempi di degenza in terapia intensiva e di degenza ospedaliera globale, e quindi di tempi di ripresa dopo intervento in generale più veloci.

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BYPASS AORTOCORONARICO – RIVASCOLARIZZAZIONE MIOCARDICA​

Le arterie coronarie sono i vasi che portano sangue ricco di ossigeno al cuore. Hanno quindi l’importante compito di nutrire il tessuto muscolare cardiaco, per mantenerlo in buona salute e preservarne la funzionalità. Il restringimento delle arterie coronarie è causato dall’aterosclerosi, una malattia degenerativa che colpisce le arterie di medio e grosso calibro, infiammandole e irrigidendole con la formazione di placche costituite da grasso (colesterolo), tessuto fibrotico e calcio, che ostruiscono e impediscono il passaggio di una quantità di sangue adeguata. Le cellule del cuore entrano così in uno stato di sofferenza, che può sfociare in eventi gravi, come:

  • l’angina pectoris, transitoria deficienza del flusso sanguigno, responsabile di un dolore opprimente dietro lo sterno; questo sintomo può comparire sotto sforzo, cioè quando il cuore aumenta le sue richieste di sangue, oppure anche a riposo, segno questo di una patologia in stadio avanzato.
  • l’infarto miocardico, morte irreversibile del tessuto muscolare cardiaco, conseguente a ostruzione prolungata di una o più arterie coronarie.

Per fare una diagnosi di stenosi (restringimento) coronarica è necessaria l’esecuzione di un esame chiamato coronarografia.

Contenuto della fisarmonica

L’intervento non chirurgico di angioplastica coronarica viene eseguito dal cardiologo emodinamista, ed è una procedura che prevede la dilatazione del restringimento mediante un palloncino che si gonfia all’interno della coronaria, e il successivo posizionamento di una retina (stent) che permette di mantenere dilatata l’arteria. Questa procedura non è sempre indicata. L’appropriatezza dell’indicazione dipende dalla sede e dal numero di coronarie interessate, dal loro grado di occlusione e dalla coesistenza di patologie associate (ad es. diabete, controindicazione agli anti aggreganti) che favoriscono una ri-occlusione a distanza di tempo.

Quando l’angioplastica non è indicata, diventa necessario eseguire allora l’intervento chirurgico di bypass aortocoronarico, che serve a superare (dall’inglese “bypass”) questi restringimenti tramite la creazione di un “ponte” o strada alternativa, attraverso cui il sangue ossigenato possa raggiungere quelle zone del cuore che ne ricevono poco.

L’intervento di bypass aortocoronarico è oggi l’intervento cardiochirurgico più eseguito in Italia, proprio a causa dell’elevata incidenza di infarti miocardici causati dall’aterosclerosi, che fa ammalare le arterie, e può essere effettuato nei seguenti modi:

  • Intervento tradizionale a cuore fermo, con circolazione extra-corporea e incisione mediana dello sterno.
  • Intervento tramite incisione mediana dello sterno ma a cuore battente (senza circolazione extra corporea). Questo metodo comporta rischi minori per alcune tipologie di pazienti.
  • Bypass mini invasivo o ROBOTICO (o MIDCAB – Minimally Invasive Direct Coronary Artery Bypass): Questa procedura effettuate a cuore battente, prevede l’accesso al cuore tramite un’incisione di 4-5 centimetri praticata al 4° o al 5° spazio intercostale anteriore sinistro, attraverso il quale si preleva in visione diretta l’arteria mammaria sinistra per confezionare un bypass diretto sulla coronaria più importante del cuore: l’arteria coronaria discendente anteriore. In qualche caso è possibile anche effettuare una rivascolarizzazione su più arterie ed il prelievo della mammaria può essere eseguito con ROBOT Da Vinci, in tal caso l’incisione cutanea risulta più piccola.

 

Gli interventi di rivascolarizzazione miocardica, pur non curando la patologia di base, servono però come strategia per ridurre i casi di morte per infarto e per migliorare l’aspettativa e la qualità di vita dei pazienti. Nonostante questo, per prevenire l’insorgenza della malattia e per impedirne la progressione, diventa di fondamentale importanza eliminare i fattori di rischio (ipercolesterolemia, ipertensione arteriosa, fumo, diabete, stress, etc.) ed il cambio dello stile di vita, della dieta e delle abitudini negative responsabili della patologia coronarica.

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STENOSI MITRALICA

La stenosi della valvola mitralica è una condizione patologica in cui la valvola mitralica non si apre completamente, impedendo al sangue di fluire normalmente dall’atrio sinistro al ventricolo sinistro.

La causa principale della stenosi mitralica è la febbre reumatica (reumatismo articolare acuto) correlata ad una infezione da streptococco. La febbre reumatica, diventata rara in Italia, ma tuttora presente nei paesi in via di sviluppo.

La prevenzione della stenosi mitralica si realizza con il trattamento antibiotico delle tonsilliti streptococciche dell’età pediatrica, prima che evolvano in febbre reumatica. Se lasciata senza trattamento, la stenosi mitralica può condurre a importanti complicanze sul cuore e sul circolo polmonare.

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La stenosi mitralica può decorrere asintomatica o con sintomi lievi anche per decenni. La sua evoluzione è lenta nella maggior parte dei casi. La gravità si classifica in lieve, moderata e severa.

I sintomi che possono comparire e che determinano la necessità di un contollo cardiologico sono:

  • “Fiato corto” (dispnea), specialmente da sforzo o in posizione supina
  • Affaticamento, soprattutto da sforzo
  • Gonfiore a gambe e piedi
  • Palpitazioni
  • Capogiri o svenimenti
  • Emottisi (tosse con sangue)
  • Fastidio o dolore toracico

I sintomi possono comparire o peggiorare in ogni momento in cui la frequenza cardiaca aumenta (ad esempio nello sforzo) e possono essere scatenati dalla gravidanza o da un’infezione. I sintomi solitamente compaiono tra i 15 e i 40 anni, ma possono presentarsi a qualunque età.

Le cause della stenosi mitralica comprendono:

  • La febbre reumatica
  • Anomalie del metabolismo del calcio
  • Difetti valvolari congeniti
  • Radioterapia del torace
  • Malattie autoimmuni come il lupus eritematosus

 

Se non viene trattata, la stenosi mitralica determina conseguenze gravi come:

  • Ipertensione polmonare, una condizione in cui la pressione del circolo polmonare (prima quello venoso, poi anche quello arterioso) aumenta provocando un aumento del lavoro del cuore.
  • Scompenso cardiaco. L’accumulo di fluidi nel circolo polmonare provoca un sovraccarico del ventricolo destro.
  • Edema polmonare. Il sangue e i liquidi ristagnano nei polmoni provocando dispnea grave e tosse con sputo di sangue.
  • Dilatazione dell’atrio sinistro.
  • Fibrillazione atriale, un’aritmia generata dalla dilatazione e dallo stiramento della parete atriale.
  • Si possono formare coaguli all’interno delle cavità cardiache, che battono irregolarmente, e i coaguli possono staccarsi dalle pareti ed entrare nella circolazione occludendo vasi importanti.

L’obbiettivo del trattamento è quello di migliorare il funzionamento del cuore, ridurre i sintomi e/o evitare possibili future complicanze.

Nelle fasi precoci della malattia, specialmente nei pazienti con stenosi mitralica lieve o moderata e sintomatologia modesta, sono raccomandati controlli clinici periodici.
Sebbene i farmaci non possano trattare il vizio valvolare, può essere indicata una terapia medica tendente a trattare i sintomi o a prevenire le complicanze.
La terapia medica può comprendere: diuretici per ridurre l’accumulo di liquidi nei polmoni, antitrombotici (anticoagulanti e/o antiaggreganti) per prevenire la formazione di trombi, beta bloccanti per ridurre la frequenza cardiaca e favorire il riempimento del cuore, antiaritmici per trattare la fibrillazione atriale o altri disturbi del ritmo, antibiotici per prevenire la recidiva di febbre reumatica se questa è la causa della valvulopatia.

L’intervento chirurgico per il trattamento della stenosi mitralica può essere di riparazione o sostituzione.
Sia l’intervento di riparazione che quello di sostituzione vengono realizzati con arresto dell’attività cardiaca e circolazione extracorporea.

Le opzioni chirurgiche sono:

  • I gesti chirurgici possono comprendere: a) la rimozione di calcificazioni che solitamente alterano il profilo e lo spessore dei lembi, occupano il tessuto anulare e sono responsabili della fusione delle zone di incontro dei lembi o commissure. b) mobilizzazione dei lembi e dell’apparato sottovalvolare. c) eventuale rinforzo dell’anello (annulus) che circonda la valvola impiantando un anello artificiale (annuloplastica).
  • Sostituzione della valvola. Nel caso in cui la commissurotomia non fosse possibile o non garantisse un risultato ottimale e duraturo (apparato valvolare estremamente calcifico in tutte le sue componenti) viene indicata la sostituzione della valvola mitralica con una protesi che può essere:
    • meccanica, robusta e duratura, a tal punto da poter essere ritenuta una soluzione definitiva. I materiali metallici di cui è composta, impongono al paziente di seguire una terapia anticoagulante per tutta la vita, al prevenire la formazione di coaguli (embolie).
    • biologica, composta da materiale di origine animale. Questa caratteristica, da un lato non richiede che il paziente segua una terapia anticoagulante, ma, dall’altro, espone la protesi ad usura con la possibile necessità di un reintervento.

Gli approcci chirurgici che possono essere usati sono differenti in base al grado di invasività:

  • l’intervento tradizionale è quello che viene eseguito con la sternotomia totale, mentre l’approccio cosiddetto mininvasivo può essere:
  • l’intervento mininvasivo in minitoracotomia anteriore destra: è l’approccio usato più comunemente. L’accesso avviene attraverso il terzo o il quarto spazio intercostale, con un’incisione cutanea di 5-6 cm circa, senza danneggiare alcuna struttura ossea (sterno e coste).
  • l’intervento mininvasivo in sternotomia parziale: è una tecnica usata poco comunemente che prevede incisioni cutanee più corte e consente di lasciare intatta una parte dello sterno.

L’ intervento mininvasivo di minitoracotomia, rispetto alla sternotomia totale, ha dimostrato vantaggi per il paziente come migliori risultati clinici, in particolar modo sulla riduzione del sanguinamento post-operatorio, sulla riduzione dei tempi di degenza in terapia intensiva e di degenza ospedaliera globale, con conseguente riduzione anche dei tempi di convalescenza e di ripresa della vita normale dopo l’intervento.

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VALVULOPATIA AORTICA (STENOSI O INSUFFICIENZA AORTICA)

La stenosi aortica è una patologia molto diffusa, dovuta nella maggior parte dei casi al naturale invecchiamento dell’organismo e alla calcificazione della valvola aortica. Insorge generalmente in età matura, tra i 60-70 anni. Più raramente, la causa è riconducibile a malformazioni congenite o ha origine reumatica.

La malattia consiste nella ridotta apertura della valvola aortica calcifica, che diventa quindi un ostacolo al fisiologico passaggio del sangue dal cuore verso l’organismo. Il lavoro del cuore aumenta e il ventricolo sinistro è sottoposto ad un sovraccarico di pressione. Con il tempo, per compensare questa condizione, il muscolo cardiaco si ispessisce e va incontro ad un sempre maggiore affaticamento.

In quasi la totalità dei casi, la stenosi aortica è curabile con la sostituzione della valvola aortica malata!

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La stenosi aortica lieve o moderata, può non presentare sintomi particolari. Quando la stenosi aortica è severa solitamente compaiono sintomi sia da sforzo sia a riposo. Tra questi i più comuni sono il dolore al torace e la perdita di coscienza (sincope). Quando l’affaticamento del cuore si aggrava, iniziano ad insorgere sintomi quali la difficoltà di respiro, l’affanno sotto sforzo, l’accumulo di liquidi nei polmoni o negli arti inferiori.

L’insufficienza aortica è una condizione patologica in cui la valvola aortica non si chiude completamente, consentendo al sangue di refluire all’indietro, anziché procedere nella corretta direzione dal cuore alle arterie di tutto il corpo, obbligando il cuore ad uno sforzo superiore al normale per compensare questo difetto, provocando così nel tempo una dilatazione del ventricolo e un ispessimento del muscolo cardiaco.

L’insufficienza aortica può svilupparsi improvvisamente oppure evolvere gradualmente nel tempo. Si tratta quindi una malattia insidiosa perché il cuore mette in atto automaticamente alcuni meccanismi di compenso, e i pazienti possono anche non presentare sintomi per anni. Quando l’insufficienza è lieve o moderata, la malattia può decorrere senza causare problemi. Se l’insufficienza aortica è severa e non trattata adeguatamente, può portare allo scompenso cardiaco, alla dilatazione e disfunzione del ventricolo sinistro, e ad un abbassamento dell’aspettativa di vita. In questi casi diventa necessaria la chirurgia per riparare o sostituire la valvola aortica malata

I sintomi dell’insufficienza aortica sono: soffio al cuore, senso di stanchezza e debolezza prevalentemente da sforzo, “fiato corto” (dispnea) da sforzo o in posizione sdraiata, gonfiore alle caviglie e ai piedi, malessere e senso di oppressione, senso di vertigine e svenimento, polso irregolare, palpitazioni e cardiopalmo.

Le possibili cause della malattia sono:

  • Patologie valvolari congenite (bicuspidia).
  • Calcificazione della valvola: un danno valvolare dovuto ai depositi di calcio che con il tempo ispessiscono i lembi della valvola, i quali non sono più in grado di muoversi correttamente.
  • La febbre reumatica, una patologia diventata rara in Italia, ma ancora presente nei paesi in via di sviluppo.
  • L’endocardite, che è un’infezione localizzata nel cuore con possibile coinvolgimento delle valvole.
  • Alcune malattie rare (Sindrome di Marfan, Lupus Eritematosus) che condizionano un allargamento dell’aorta e della valvola aortica.
  • I traumi che conducono alla rottura della parete aortica in vicinanza della valvola

Una visita cardiologica e una serie di esami diagnostici come un’ecocardiografia o un ecocolordoppler permettono di definire la causa della malattia, di precisarne la severità e di valutare le condizioni cliniche generali del paziente.

I farmaci possono aiutare a controllare e ridurre i sintomi nelle fasi precoci della malattia, quando l’entità della malattia è lieve o lieve-moderata, sempre monitorando la progressione nel tempo. In caso di stenosi o insufficienza aortica di grado severo asintomatica o sintomatica, indipendentemente dalla severità dei sintomi, l’unica soluzione è quella di sottoporsi all’ intervento per l’impianto di una protesi valvolare o eventuale riparo.

Le protesi possono essere di due tipi:

  • meccanica, robusta e duratura, a tal punto da poter essere ritenuta una soluzione definitiva. I materiali metallici di cui è composta, impongono al paziente di seguire una terapia anticoagulante per tutta la vita, al prevenire la formazione di coaguli (embolie).
  • biologica, composta da materiale di origine animale. Questa caratteristica, da un lato non richiede che il paziente segua una terapia anticoagulante, ma dall’altro espone la protesi ad usura con la possibile necessità di un re-intervento nel tempo.

Riparazione della valvola aortica in caso di insufficienza

Gli approcci chirurgici che possono essere usati sono differenti in base al grado di invasività: l’intervento tradizionale è quello che viene eseguito con la sternotomia totale, mentre l’intervento mini invasivo può articolarsi nelle seguenti opzioni:

  • Sternotomia parziale superiore/inferiore o mini-sternotomia: è la tecnica più comune, prevede incisioni cutanee più corte e consente di lasciare intatta una parte dello sterno.
  • Mini-toracotomia anteriore destra: si accede tramite il secondo spazio intercostale, con un’incisione cutanea di 5-6 cm circa, senza danneggiare alcuna struttura ossea (sterno e coste).

Attualmente sono disponibili tecniche di impianto di protesi valvolari senza la circolazione extracorporea e senza la rimozione della valvola malata. La procedura TAVI (Trans-catheter Aortic Valve Implantation) è un approccio non chirurgico sviluppato negli ultimi anni, che si realizza mediante l’introduzione di un catetere dall’arteria femorale (TAVI Trans-femorale) o tramite una piccolissima incisione sotto la mammella sinistra (TAVI trans-apicale). Questa tecnica è indicata in pazienti anziani e non, affetti da stenosi aortica severa, ma che hanno un elevato rischio di complicanze se sottoposti a chirurgia tradizionale.